Posto l’inizio del primo capitolo dell’unico romanzo che scriverò in questa vita. Il titolo è “L’inviolabilità”. Se qualche dolce bestia o qualsivoglia creatura incrociasse questo cammino e volesse conoscerne le vicissitudini me lo faccia sapere ed aggiornerò questo post.
“I giorni più grandi della nostra vita sono quelli in cui abbiamo finalmente il coraggio di affermare che il male che portiamo in noi è il meglio di noi stessi”
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Rock di notte
“Si
dice che il tempo non abbia figli e che siamo solamente il prodotto
delle occasioni, che si
viva
ognuno per scene diverse, vagando di vedetta in vedetta…”
C’era
scritto questo sul biglietto che Bellinverno ripose
in tasca
mentre non
riusciva a distrarsi da quell’idea fissa che gli circolava dentro
come
sangue nelle vene ad ogni ora del giorno.
Era seduto su una panchina guardando le
navi che arrivavano in porto, si chiedeva da dove venissero e da
quanto viaggiavano e perché sembrassero così lente. In realtà i
suoi pensieri ondeggiavano proprio come quelle navi ma al contrario
di esse non avevano un porto, nessun ormeggio al quale tenerli fermi.
Si
alzò senza guardarsi intorno sapendo che sarebbe andato lì dove
l’idea lo avrebbe condotto, sapendo che ne avrebbe assecondato
l’ineluttabile volontà e chiedendosi se non stesse per caso
confondendo l’idea con l’istinto, se andare a trovare ancora
una volta Arabella
non fosse altro che una
resa,
un incondizionato
abbandono ad una
debolezza che come un chiavistello gli teneva il cuore sbarrato
rendendolo incapace di dominarlo.
Aveva
percorso la strada di casa di Arabella migliaia di volte, l’aveva
amata per tre anni di quell’amore lieve che quando viene a mancare
sul momento non lascia traccia ma che col passare del tempo ti piega
in due, ma senza spezzarti perché se ti spezzi non resta
più nulla da piegare.
Arabella
era di una famiglia facoltosa, aveva occhi piccoli e penetranti, un
corpo magro e
sinuoso
che guardava distrattamente.
Si
preoccupava più che altro di ciò che le stava intorno, adorava la
musica e gli esseri umani, aveva modi dolci e cortesi che mettevano a
proprio agio. Spesso se
ne stava
alla finestra soprattutto di sera ad osservare la gente che passava
giù
nella strada.
Fin
da bambina
era
colpita
da quella varia
umanità
che sfiorava altra umanità,
pur
senza mai incontrarsi. L’uomo col cappello, la donna col cane, la
ragazza gioiosa, il bambino che guarda il cane, il cane che annusa la
ragazza gioiosa, la ragazza gioiosa che osserva il cappello, l’uomo
col cappello che guarda il bambino. Poteva invertire i soggetti e gli
oggetti ma l’umanità restava la stessa e lei di fronte a questo
pensiero restava invariabilmente meravigliata ed incredula.
Il
suo rango le permetteva di pensare soprattutto alle sue passioni,
viveva la musica come qualcosa di viscerale, come qualcosa che
costituiva il suo stesso essere e mai e poi mai ci avrebbe
rinunciato. Suonava il contrabbasso in un ensemble che faceva musica
jazz, lo faceva nelle cantine, nei locali, alle radio ed in qualsiasi
luogo che le permetteva di vivere le intense emozioni che la musica
le donava. Era molto spesso in giro e di rado la si vedeva ferma a
non far nulla. L’immobilità
non era contemplata nel suo modo di vivere. Forse era per questo che
Bellinverno ne
fu attratto. Una
donna perfettamente in antitesi col suo eterno osservare. Lui
che non entrava mai
fisicamente nelle situazioni ma le
viveva
da lontano quasi come se non ne avesse bisogno
o forse era semplicemente troppo sensibile e timoroso per viverle dal
di
dentro.
Entrò
nel grande atrio di casa sua al centro del quale vi era una larga
scala che portava ai piani superiori.
Erano state
apposte ghirlande all’ingresso e un tappeto rosso lungo gli scalini.
Era quello un giorno particolare e denso di significati, Bellinverno
lo sapeva bene.
Arabella
gli venne incontro a metà scalinata, non era felice di vederlo
benché avesse pensato a lui quel periodo:
“Non
puoi venire qui lo sai,durante gli esercizi non posso assolutamente
incontrare nessuno e men che meno oggi….”
“Volevo
solo
sapere
come stai, ma sei veramente convinta di farlo?”
Arabella
accennò un sorriso benevolo “Me lo hai chiesto mille
volte, si voglio farlo”
“Ma
c’è il rischio che tu non mi riconosca più, come puoi accettare una
cosa del genere?”
Stringeva
le mani nelle tasche mentre pronunciava quelle parole. Ne
comprendeva l’inutilità. Parole
talmente
inutili da rendere evidente l’amara consapevolezza che in realtà
erano rivolte esclusivamente a se stesso.
Arabella
oramai era lontana, gli ultimi esercizi l’avevano ulteriormente
eallontanata
dal suo mondo, dai suoi occhi,dalla sua voce,dal suo modo di vedere
la vita.
“Scollegare
l’odio” veniva chiamata quella pratica. Potevano
permettersela solo i ricchi. Una
pratica che portava all’esclusione di qualsiasi forte emozione
negativa o positiva che fosse. Cancellava
di fatto la
capacità
di provare le grandi
gioie e le profonde tristezze. Niente
più momenti di forte appagamento né grossi afflizioni ma solo un
pacato ed
ovattato stato
di benessere che non
influenza e non
nuoce all’equilibrio di chi sta intorno ed a quello di una società
sempre più sull’orlo di un disastroso fallimento. Terrorizzata
dall’idea di non poter più
bastare
a se stessa e per questo pronta a recriminare contro chiunque e
contro tutto ciò che potesse
disturbarne la lenta ed inesorabile discesa dentro
il baratro dell’indifferenza.Nulla
che possa incresparne le onde e rendere instabile ciò che è già
instabile.
“Stabilità”
era la parola d’ordine, periodicamente si veniva sottoposti ad un
esame emozionale che consisteva nel fare uno scandaglio della memoria
profonda, nello scovare i sogni più intimi ed
esaminare
tutte le interazioni chimiche accadute nella mente. Alla fine
dell’esame si otteneva un numero che doveva
essere
compreso
in
un
range prestabilito. Se
ciò non accadeva, si
veniva sottoposti ad un periodo di rieducazione emozionale a base di
sogni indotti e memorie modificate.
Da
quando la rivoluzione della Stabilità
aveva avuto inizio la
stragrande maggioranza della
popolazione era stata emozionalmente censita scandagliata
e
corretta.
Di conseguenza da circa tre generazioni l’amore era diventato un
sentimento desueto. Ricordato
lontanamente solo dai più anziani, e
chi
non era ancora stato scandagliato e corretto non sapeva più bene
cosa fosse e la cosa che più gli si avvicinava era fare sesso, un
sesso separato ed avulso da qualsiasi forma d’amore.
Poche
persone mancavano ancora all’appello, Bellinverno era una di queste.
Tra un sotterfugio e l’altro era sempre riuscito
grazie al suo lavoro di rimediante ad
eludere i controlli, ma sapeva che presto sarebbe toccato anche a lui
ed il
pensiero che una mano invisibile
sarebbe
presto
calata
dentro le sue paure, le sue felicità, i suoi momenti più intimi
lo terrorizzava. Provava angoscia al solo pensiero che
qualcuno avrebbe saputo,
al
di là della sua volontà,
quanto
aveva riso quanto aveva pianto o semplicemente quanto aveva camminato
o
aveva corso fino
a quel momento della
sua vita.
E
poi la rieducazione, l’induzione di sogni che non aveva mai fatto e
che
non gli appartenevano.
Sensazioni
che non aveva mai cercato né voluto. Una vera e propria
appropriazione indebita dell’anima.